Notre-Dame
de Chartres, edificio del XIII secolo, venne costruita
immediatamente dopo l’incendio che, nel 1194, rovinò la
cattedrale romanica del XII secolo. Ci occorse solo una ventina di
anni per costruire l’opera grossa di un edificio che impone la sua
stupenda unità e la sua armonia incontestabile. Questa cattedrale
si radica e si innalza sulla cripta carolingia e la chiesa inferiore,
chiamata « cripta », della cattedrale di Fulbert. Questa,
sostenuiti gli enormi carichi della chiesa romanica, è diventata la
matrice della nuova. Svolgendosi per 220 metri in lunghezza, essa
comanda e ordina il piano dell’intero edificio.
Non
conosciamo il nome del maestro muratore che, dagli primi anni del
duecento, ardì di lanciare per la prima volta a un’altezza
simile, volte a crociere ogivali, nonostante l’esistenza della
cripta che, imponendo i punti di appoggio, dava alla navata una
larghezza eccezionale di 16,40 metri. Il maestro di Chartres innova,
ma con prudenza. Nell’elevazione il triforio si sostitue alle
tribune. le finestre alte escludono il muro, sostituendolo colle
vetrate. La cattedrale di Chartres sarà il primo edificio di
massima dimensione per cui si decise che tutto il sistema della
struttura affermando la sua stabilità avrebbe poggiato
sull’impiego degli archi di sostegno. Massicie cosce tagliate in
risalto incanalano le spinte della volta. Quindi, di tutto il suo
peso, questa può innalzarsi a 37,50 metri sopra la navata più
larga di tutte le cattedrali gotiche. Questo edificio di pietra, i
cui elementi architettonici servono tutti a condurre le forze al
suolo, ci attira irresistibilmente verso l’alto, dove si slanciano,
nella leggerezza della volta, i piloni e le colonne. In questo
insieme non c’è niente gratuito. Tutte le linee sono legate alle
necessità della costruzione. La decorazione stessa, molto sobria,
rivela e sottolinea l’architettura. Necessità che è bellezza.
Bisogna
percorrere lentamente la navata centrale o pure una di quelle
laterali per apprezzarne la robusta sanità e l’immensità, il
poderoso slancio dei piloni solidamente ormeggiati al pavimento, il
ritmo delle pile ora cilindriche, ora ottogonali, il movimento
ascendente dei quattro fasci di colonne alla croce del transetto,
l’armonia meravigliosa delle proporzioni. Bisogna anche uscire per
ammirare la tremenda alleanza della forza e della leggerezza nella
doppia volata degli archi di sostegno dell’ abside. Bisogna sempre
passare dall’interno all’esterno, dall’esterno all’interno
e, qui, stare a scoprire, nella penombra, la luce scrivendo le forme
e disegnando senza tregua i volumi.